Girandole

Non voglio una vita che mi sveglia la mattina in pigiama con la faccia da amuchina. 

Piedi scalzi in cucina con un solo cucchiaino senza fondo di tazzina.

Non voglio uno sfondo ad acquerello, una tela ch’è sbiadita, da rifare col cervello.

Non voglio nessun resto della festa

Del glucosio voglio essere insulina, del cammello la sua cruna.

Quel miracolo palindromo di chi ama e viceversa… la mia Atlantide sommersa.

E l’amore che fa l’onda e la tempesta.

Aggiorniamo l’app “TEMPO”, senza illuderci di averne più di tanto.

Riavviamo la lusinga del momento dondolando dolcemente

Come fanno le girandole col vento

Ti saluto grande fede

Prendo tempo, con la biro scrivo “posso” in controcampo
Sopra il foglio poi ricalco la parola “nonmiarrendo”
Tuttainsieme che si possa anche intendere che appunto stobevendo.

Prendo un punto, da un’angolatura finta
mi ci tuffo come un putto all’inferno… finchè non sarò convinta
che la neve dopo il bianco fa vedere la poltiglia.

La miseria dell’amore che non resta assomiglia
al mio nome liquefatto contro un vetro a fine festa.

A capire chi rinuncia c’ho provato
L’ho filtrato dentro attese, decantato e versato dentro varchi trasparenti
Ho rincorso anche troppo il concetto di promessa degli assenti.

Ti saluto grande fede, il mio voto è scaduto.

Ho una vita che a metà del suo limite è iniziata
In quest’epoca di mezze libertà ed intere eccezioni
voglio vivere di braci e di camini.
Voglio prendere le favole per buone

Voglio stare dalla parte delle asole che bastano ai bottoni.

 

Quando basta

Quando basta una mano sulla gamba
alla guida di una strada che non cambia.

Quando basta quello scatto sulla pelle liscia e bruna
mentre l’onda sulla riva la gremisce e la cattura.

Quando basta una birra con lo sguardo che va al cielo, lì seduta sul suo telo.
Mentre il tempo abbandona i suoi punti messi in fila.

Quando basta inventare un altro gioco di parole e di risate sotto il sole. Che l’amore mangia riso, pepe e voce.

Quando basta la penombra sul suo fianco color terra
La sua schiena che festeggia a raccogliere carezze, come l’erba con la pioggia.

Quando basta una cena fronte mare con la Luna
e l’amarezza infiltrata si trasforma in bendata Dea Fortuna.

Quella foto in mezzo al mare, il tuo faro, il mio tuffo,
un sacchetto di gioielli, la tua e mia calamita…

Corre il tempo sulla vita…
quando basta così poco, che davvero l’hai guarita.

Sei

Nel mio bicchiere il vino rosso color amarena
Difronte ho te, che sei il colore della mia vena.
La mia libertà in quarantena

Sei l’ombra del fico, estasi e avviso
Il cielo che ho chiuso, l’incendio doloso
Sei l’altro capo del tempo diviso.

Barchetta di carta, ostrica e perla
Il seme nel vaso che rompe la terra
Sei tu il sospiro che adesso mi parla.

Sei l’onda e la cresta
Il punto più fragile della tempesta
E la simmetria, che sulla mia riva appoggia la testa.

La Luna diversa
Calco di luce e universo
Sei porta del buio che mi attraversa.

Potrei proseguire ma basta sapere
che adesso tu… non vuoi più morire.

Ti porto con me, c’è un vaso di eterno che devo riempire
Tu prova a fidarti
Ci penso io.
Adesso.
Amore.

Nella tua biografia

La mia corsa, sempre scalza su quel prato
la discesa in bicicletta dai gradini della chiesa
un sorpasso col mio skateboard di quel legno incollato
per due lire dall’amico di quel tizio un pò svitato.

Una mossa da maestro in quel gioco con i dadi
In attacco o in attesa, io baravo, tu fingevi
Io e te, nessuna resa.

Quando andavi a lavorare che sembravi un generale.
La divisa, la tua faccia da galera, ti giravi sulla porta non guardavi
Non centravi neanche l’aria, eri come chi ha fretta… e aspetta.
Nei tuoi occhi le saette.

Nella mia cameretta, occhi chiusi con le gambe penzoloni.
Dal mio dondolo sfioravano illusioni.
La mia vita era un sogno irreale, aquilone da montare.

Penso a te, penso spesso com’è andata veramente
se davvero fossi stata di una madre la promessa
se davvero chi ora sono, alla fine non sia proprio la tua messa.

Penso a te, penso spesso.
Stesso ardore, stesso nesso.
Uno specchio che squadrare non ho smesso.

Penso a te, penso spesso.
Mi dimentichi in risacca e mi riprendi da quel cavo con la voce da cosacca.
Quella rabbia e quell’amore, l’equilibrio tra coerenza e aritmia
Mi hai spiegato che la vita è solo tua.

Dal quel dondolo ho imparato a costruire aquiloni e tentare acrobazie.
Guardo ancora il soffitto, con i muri parlo chiaro
e ondeggio nella tua biografia.

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Qui dice

Io me ne vado, tu che ti fermi.
In un solo abbraccio, lo spoglio dei sensi
Impasto di forze a lieviti assenti.

Cigola l’àrgano e trascina nel pozzo valore e progetti
Tutto ammassato dentro un archivio di prezzi.

Urlare non serve.
Il buio trasforma l’intesa in livida guerra
nessuno si salva se pieghi la testa.

Non cerco parole e spengo anche gli occhi
Ripasso istruzioni di come sognare.
Pensieri di niente nel bianco rumore.

Qui dice riposa… tienimi il ciuccio che l’incubo muore.

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Col vento parlavo anche prima

Rumore di ombra, che l’organo esegue in assolo di tantra
Sapore di lama, pezzi di senza, brandelli di prima.

Momenti privati… privati d’unione
voci bloccate su un disco in vinile.

Col vento parlavo anche prima
ma adesso vorrei la mia altalena, che trema.
Toccare per terra coi piedi
e spinger le nubi in punta di dita.

Mi tieni il cuore che sono stanca?

Sono giorni che si stringe
mi consuma come il fuoco, quando piange.

E gli chiedo ogni volta se gli basto, se so amarlo.
Lo tratteggio su una chat e non posso – fare – altro.

Lui non smette.
Disperato è il silenzio che promette.

Ecco adesso non lo dire… te ne prego.
Se gli dici vieni qui, lui stanotte schizza fuori come un getto
Ma non ha nessuna forza e nessun freno
con chi versa nel bicchiere la distanza
come gocce di veleno in una stanza.

Ora arriva un’altra notte mai eletta.
Sognerò il torace che riapre questa gabbia maledetta.

E lui vivo
Mentre corre
A perdifiato
Per tornare nel tuo petto.

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Dovrei avere coraggio

Televisione spenta, computer, divano.
Tre fazzolettini di carta sul tavolino,
due segni bianchi di sale sul viso,
un bicchiere di vino. Vicino.

Abbiamo confuso un campo minato con le margherite.
Adesso è attesa di un’illusoria data sparita.

Dalla finestra il mondo che tace
Sopra i balconi qualcuno che fuma, il tempo una brace.
Confini sbarrati, chi resta, chi torna, la forza è finita,
dietro la porta un filo di vita.

La sera cammino senza sentire, mi siedo, mi alzo, dovrei cucinare
Dovrei aver coraggio, dovrei non sparire.

Mi metto ai fornelli sull’immaginario mondo dei folli.

E verso in padella burro salato e vino con bolle
Alzo il volume, la mia candela e il tuo concerto di pianoforte.
Metto sul fuoco anche le dita e quando una lacrima diventa di cera,
giro la ghiera, la cena è servita.

Senza di te, resta digiuna la primavera.

Fuoco di Santi

Nel cielo la guerra
in questa sera
che esplodono stelle

Fuoco di santi
su questa sera
di corto circuito di tutti i comandi

Un guasto improvviso
al pulsante del tempo
in questa sera
che prego e bestemmio

Farfalle con ali dorate
vorreste zittire nel grembo
con tutte le vostre stronzate

Ragione ne avete?
Perfetto, andate a giocare col cielo
a chi arriva per primo a sparire.

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