La carrozza milleuno

Salgo e siedo al finestrino, sopra un tetto vedo 

perdersi il pallone che giocava col destino.

La carrozza milleuno ha il sedile consumato da abrasioni 

e di legno già bruciato il profumo.

La carrozza milleuno, sa di lacrime e di fumo

con quel cupo sospirare del futuro, come un cardine che salta dal motore.

La carrozza milleuno… la metafora di me, ricordiamo:

“Quel vagone solitario mai entrato in stazione 

che sognava di staccarsi dal convoglio… e sparire”.

Il ciglio del senso

Sul comodino pastiglie che sedano nuclei in battaglia
la vita si tace, il corso s’impiglia in ore cadenti
di questa versione dei giorni, che non mi somiglia.
Con questa Luna che spiega al mattino come il buongiorno non serva.

I passati interrotti senza un domani diventano esonero al tempo concluso.
Sfatano gli anni mediocri, innalzano templi sui semi di karma appena dischiusi
Un commedia al presente incapace.

Seconda al rimpianto, dietro la colpa, in cima alla fila del lecito avanzo... non ce la faccio.

Taglio un respiro nel piatto e guardo la foto di un giorno in vacanza
C’era la luce col tuo sorriso perfetto di fianco...
Poi sul display il tuo nome sul bianco.

Amore, mi scrivi... e avviti l'uncino sul ciglio del senso.
No, non rispondo... attingo al silenzio per dirti rimango.

Girandole

Non voglio una vita che mi sveglia la mattina in pigiama con la faccia da amuchina. 

Piedi scalzi in cucina con un solo cucchiaino senza fondo di tazzina.

Non voglio uno sfondo ad acquerello, una tela ch’è sbiadita, da rifare col cervello.

Non voglio nessun resto della festa

Del glucosio voglio essere insulina, del cammello la sua cruna.

Quel miracolo palindromo di chi ama e viceversa… la mia Atlantide sommersa.

E l’amore che fa l’onda e la tempesta.

Aggiorniamo l’app “TEMPO”, senza illuderci di averne più di tanto.

Riavviamo la lusinga del momento dondolando dolcemente

Come fanno le girandole col vento

Non credo più

Vita che non ho prenotato, svelami il disegno, tu che menti e doppiezza poi ci insegni.

Sei il cielo in una stanza di torture, porta via le tue cure.

Ti ringrazio, ma non credo alle tue sfumature.

Riprendi anche la magia della notte, che nel buio metti solo luci rotte.

E finisci d’inventare interi e mezzi, crei soltanto illusioni. Vanno in pezzi.

Prendi anche la felicità, è un trucchetto per cambiare tutti i sogni in realtà.

Non ci credo alle grandi verità.

Lascio qui anche le ali che qualcuno riaprirà. E tieni pure la mia età…

Non dire più ti aiuterà.

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La Solìte

Lo zaino aperto, lì posato sul parquet
come ninfea che galleggia in un quadro di Monet.

La mia sagoma sfumata sul divano,
il gin tonic nel bicchiere mezzo pieno,
un piattino con gli avanzi di salame e parmigiano.

Lo stendino e il bucato che ho piegato a mia maniera
stesso filo: il berretto coi bottoni e la tua canottiera.

Una fitta alla vita che non smette,
una fiala di silenzio questo male che mi stanca.
La Solìte, pioggia fredda nella stanza.

la Solìte è una sala senza aspetto,
lo strapiombo oltre il tuo parapetto,
la mia casa senza te, la balena di Geppetto.

La coerenza e il rispetto,
le due parti del mio cuore nel cassetto
ricomincia il lunedì ed il conteggio…

Ora indosso il mio cappello e i tuoi messaggi,
metto in moto questo tempo degli ostaggi.
Il caffè, due biscotti e la doccia sopra i nostri tatuaggi,
la camicia nello specchio appannato e la luce del per sempre
sul diamante che mi hai regalato.

Giro a vuoto per le strade, affidata ad una farsa
la Solite, amore mio non mi passa.
Mani in tasca a vita bassa, solo freddo nelle ossa.

Uno spaccio di dolcezza in zona rossa.

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Un’eternità di tempo da guarire

Una goccia di limone su due fette di salmone,
una Ceres nel bicchiere,
sotto gli occhi la stanchezza disegnata nero alone.

Stanca morta d’ascoltare questo genere di musica infernale
un tam tam di paura a percussione, fai più piano a respirare.
Monotema della vita il terrore, e l’umanità illesa come spugna ad assorbire.

Un’eternità di tempo da guarire.

Si Alice, torno a casa, nel paese dell’estrema meraviglia
Chiedo solo di posare il cappello e la lanterna.
Apri Alice, e richiudi la maniglia.
Ho bisogno del tuo viso oro e ambra nel riflesso della legna
e una notte fronte fuoco per finire la bottiglia.

Dovrei avere coraggio

Televisione spenta, computer, divano.
Tre fazzolettini di carta sul tavolino,
due segni bianchi di sale sul viso,
un bicchiere di vino. Vicino.

Abbiamo confuso un campo minato con le margherite.
Adesso è attesa di un’illusoria data sparita.

Dalla finestra il mondo che tace
Sopra i balconi qualcuno che fuma, il tempo una brace.
Confini sbarrati, chi resta, chi torna, la forza è finita,
dietro la porta un filo di vita.

La sera cammino senza sentire, mi siedo, mi alzo, dovrei cucinare
Dovrei aver coraggio, dovrei non sparire.

Mi metto ai fornelli sull’immaginario mondo dei folli.

E verso in padella burro salato e vino con bolle
Alzo il volume, la mia candela e il tuo concerto di pianoforte.
Metto sul fuoco anche le dita e quando una lacrima diventa di cera,
giro la ghiera, la cena è servita.

Senza di te, resta digiuna la primavera.