Dovrei avere coraggio

Televisione spenta, computer, divano.
Tre fazzolettini di carta sul tavolino,
due segni bianchi di sale sul viso,
un bicchiere di vino. Vicino.

Abbiamo confuso un campo minato con le margherite.
Adesso è attesa di un’illusoria data sparita.

Dalla finestra il mondo che tace
Sopra i balconi qualcuno che fuma, il tempo una brace.
Confini sbarrati, chi resta, chi torna, la forza è finita,
dietro la porta un filo di vita.

La sera cammino senza sentire, mi siedo, mi alzo, dovrei cucinare
Dovrei aver coraggio, dovrei non sparire.

Mi metto ai fornelli sull’immaginario mondo dei folli.

E verso in padella burro salato e vino con bolle
Alzo il volume, la mia candela e il tuo concerto di pianoforte.
Metto sul fuoco anche le dita e quando una lacrima diventa di cera,
giro la ghiera, la cena è servita.

Senza di te, resta digiuna la primavera.

Pro no me

Qualcuno e qualche, nessuno e alcuno
finte parole senza destino.

Codesto e stesso, questo e quello
punte di torri senza castello.

Quando e chi, che cosa e come
e quelle risposte ad alto volume.

Me, tu, lei, noi e voi
e i mille voli degli avvoltoi.

Loro e suo, nostro e vostro
e quante maniere fallite d’incastro.

Con questo tuoloro mio chissàchecosa, nessuno ha potuto.
Ora gli stessi tuoi-nostri-come,
sono dispersi in questo “opportuno” finire.

In quel tuosuo, sicuro piùmio, PRO no ME.

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Non mi fermo

Con il mare parlo poco,
parlo poco anche d’amore.
Parlo poco quando dentro ho il maestrale,
che biancheggia e feroce urla al male.

E mi sdraio su dei cocci di conchiglia
Occhi chiusi con il sole fra le ciglia
Aquiloni, qualche pesce, tanto sale,
il silenzio ed il vento che non cambia,
che ribolle in un piatto d’utopistiche finestre.

Resto qui ancora un po’, a sedere sulla lama di una linea immaginaria.
Ho imparato a pensare che ogni fine sia soltanto una tempesta.

Anche il sole al tramonto ha da fare,
giusto il tempo di uno scatto, fai buon viaggio, ti saluto. Ecco basta.

Questa vita di fuggiaschi e disillusi ormai stanchi,
C’è una stella, la seconda lì a destra,
non mi fermo, vado avanti.

C’è sempre qualcuno che è

C’è sempre qualcuno che è
la luna sulle creste di sale,
un gesto libero che si può replicare,
la musica leggera di sottofondo,
l’infinito tutto attorno.

C’è sempre qualcuno che è
una notte abbreviata,
la prima bracciata nel mare,
il lieve contorno sul bordo del cuore.

Quel modo per dire, è arrivata l’estate.

giugno

L’incantesimo

Se uscirai dal nostro castello
il vento sarà mulinello.
L’amore, una croce sempre,
il tuo cuore spezzato, abiterà in novembre.

Come un presagio di grave dolore,
I nuovi ti amo scadranno al calare del sole.
Dentro ci sono, fuori abbandono,
scegli un unico dono!

Ho aperto il portone.
Fringuelli felici sui cornicioni,
luce del giorno in ogni androne
simpatici amici,
una nuova brillante Fenice.

Ma li dal castello nessun segnale.
L’abisso, il silenzio ancestrale.
Avevi portato in soffitta te stesso
Avevi di noi tutto soppresso.
Pian piano la luce del mondo si spense.
Nel cuore il battito assente,
i nuovi ti amo ridotti in niente.
Non riesco ad andare, il tempo diventa crudele
Ti neghi, mi manca una parte di cuore.

Dove credevi di andare? Adesso hai un cuore spezzato
Ora sparisci da questo selciato.
Ricordi la scelta? L’amore è un unico dono,
tu sei partita, e solo ad un costo riavrai la mia vita.

Ma un prezzo non ha l’amore,
non ho più denari da dare.
Nel cuore spezzato
adesso c’è anche un battito alato.

Metà differenti le chiamo.
Anime mie, che amo.

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A 15 minuti di distanza

Sono circa le 8,00, mi metto sul divano, poso il cordless sul tavolino e aspetto.
Ormai non c’è più nessuno che chiama sul telefono di casa, ma il 23 aprile entro le 8,30 ricevo sempre le due stesse chiamate a non più di 15 minuti di distanza.

Dall’altra parte dell’Italia e all’opposto delle loro distanze le loro voci diventano uguali in quello stile di appartenenza che riconoscerei in mezzo a tutto.

La prima è sempre mia madre – le donne quando abitano da sole si scrivono sul calendario tutto.
“Tanti auguri ciccia”, come avessi ancora due ore e pesassi 4 chili e mezzo.
Poi mio padre, “tanti auguri amore”, perché è questo che resto.

Il mio onomastico è una festa che faccio sopravvivere solo per loro, per quel nome che scelsero perché mi consegnasse il coraggio e l’eroismo di San Giorgio che sconfisse un drago per liberare il suo popolo.
Grazie rispondo, Giorgia è proprio un nome bellissimo.

Poi rimetto la mia armatura.

onomastico

Quando le uova si rompono

Tasche che vibrano e mondi che tremano.
Labbra moribonde che staccano i respiratori.

Gli amanti, quando non si amano più,
scelgono spazi molto stretti per i loro vuoti sconfinati.
Atmosfere irrespirabili negli inferi di paradisi distrutti.
E vivono in stati, divisi da patti spinati.

Tu qui non puoi entrare, ma io verrei lì, se tu vuoi tornare qui.
Chiamami solo se, ma non dirmi cosa, perché quando io ero tu non eri, e io so che tu non sei.
Questo è mio e questo è tuo, un_due_tre la gallina coccodè!

Il passato è un uovo.
E quando le uova si rompono è sorprendente la libertà che può uscirne.

uovo

Il mio biglietto

Le gambe tentano di smontare le braccia per rapirmi,
le braccia cercano di separarsi dalle gambe per agganciarmi al cielo.
In tutto questo vano tormento, in centro, sulla vita, io mi strappo.

Devi scegliere tra gambe o braccia, se ami scegli!
Non ami se non scegli!
Non hai nulla, hai troppo, non hai abbastanza!

B a s t a.

Accade di sentire ad un certo punto soltanto un brusio di sottofondo,
un rumore bianco sordo che accompagna nella stiva di se stessi.

Qui sotto, fra righe disperate e parole non dette,
non posso scegliere il divieto d’amare.
Vorrei il mio biglietto, non voglio fare questo viaggio da clandestina.

clandesina