La carrozza milleuno

Salgo e siedo al finestrino, sopra un tetto vedo 

perdersi il pallone che giocava col destino.

La carrozza milleuno ha il sedile consumato da abrasioni 

e di legno già bruciato il profumo.

La carrozza milleuno, sa di lacrime e di fumo

con quel cupo sospirare del futuro, come un cardine che salta dal motore.

La carrozza milleuno… la metafora di me, ricordiamo:

“Quel vagone solitario mai entrato in stazione 

che sognava di staccarsi dal convoglio… e sparire”.

Il trucco

Trasporto archivi e armature,
Studio l’amore.
Cerco il vaccino e del suo contagio voglio morire.

La solitudine, come un costume
Come la fede nell’anulare
Come una cura che non so finire
senza quel dubbio che passi il dolore.

La fantasia, l’organo esterno di anatomia
La quinta essenza, il regno difforme
Il bisogno dell’anima che rende vivibile una magia.

Sono la chiave e anche il forziere
Sono quel viaggio che non si può fare
in una carrozza senza cocchiere.
Sono del trucco il rischio lampante e il prestigiatore.

Sono le ali e anche quei mai che non so più dire.

 

La vita è adesso

Quella strada e quel tuo treno
Camminando poi a un metro di distanza,
come toro e torero.

Tu che adagi le parole, io che gioco col rumore
C’è un gran caldo, sono poche queste ore,
senza meta e contro sole.

La complicità che arranca
quando il tempo è racchiuso come il vetro e la bevanda.
Come vita concentrata
in 3 ore, in 2 spesso e 1 dose di permesso.

Quando dici che mi ami, è la vita ed è adesso.
E lo sai che ho pensato… l’impossibile è ammesso.
Ma ho soltanto spalancato una porta
col cartello “qui il divieto ha accesso”.

Su quel marciapiede ferma, ora scendo.

E il verbale d’infrazione, che mi prendo,
io domani lo incornicio… e lo appendo.

Sei

Nel mio bicchiere il vino rosso color amarena
Difronte ho te, che sei il colore della mia vena.
La mia libertà in quarantena

Sei l’ombra del fico, estasi e avviso
Il cielo che ho chiuso, l’incendio doloso
Sei l’altro capo del tempo diviso.

Barchetta di carta, ostrica e perla
Il seme nel vaso che rompe la terra
Sei tu il sospiro che adesso mi parla.

Sei l’onda e la cresta
Il punto più fragile della tempesta
E la simmetria, che sulla mia riva appoggia la testa.

La Luna diversa
Calco di luce e universo
Sei porta del buio che mi attraversa.

Potrei proseguire ma basta sapere
che adesso tu… non vuoi più morire.

Ti porto con me, c’è un vaso di eterno che devo riempire
Tu prova a fidarti
Ci penso io.
Adesso.
Amore.

Qui dice

Io me ne vado, tu che ti fermi.
In un solo abbraccio, lo spoglio dei sensi
Impasto di forze a lieviti assenti.

Cigola l’àrgano e trascina nel pozzo valore e progetti
Tutto ammassato dentro un archivio di prezzi.

Urlare non serve.
Il buio trasforma l’intesa in livida guerra
nessuno si salva se pieghi la testa.

Non cerco parole e spengo anche gli occhi
Ripasso istruzioni di come sognare.
Pensieri di niente nel bianco rumore.

Qui dice riposa… tienimi il ciuccio che l’incubo muore.

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Dedicata all’inventore degli anni

Chi ha inventato gli anni mi ha provocato questa sgradevole sensazione di contrasto tra il senso della sottrazione e dell’addizione, come se si fosse accaparrato il potere di far ricominciare tutti da capo. Senza scampo.
E non c’è salvezza perché la logica non da risposte, la matematica le azzera e la vita le scompiglia.
Ok inventore degli anni, ora vado in archivio a riporre anche questo e poi moltiplico all’infinito i sogni, che almeno per loro, nessuno è ancora riuscito ad inventare una regola.
Tanti auguri amici, nemici, complici, amanti.
E sia.

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Se fossi

Se fossi qualcosa di struggente… sarei una carrozza ristorante
bicchieri di cristallo, abat jour e champagne nel cestello.
Poltroncine di velluto, fumo e appunti di paesaggi.
Un’immagine scomparsa della gente di passaggio.

Se fossi una confidenza… sarei l’insofferenza.
Quel disturbo che accompagna gli architetti di licenze.
Cuori astrusi che nascondono intenzioni sconvenienti.
Un bizzarro cigolio di un rischioso apparecchio d’imprudenza.
Allacciare le cinture, vuoti d’aria e turbolenza…

Se fossi una materia vorrei essere la neve.
La freddezza in apparenza che mi segue, non doverla più spiegare.
Vorrei anche il permesso di coprire il vocio generale, la banalità di massa congelare.

E richiederei il mio banco, su una sfumatura rosa sopra il cielo.
E poi scriverei: “vi spiego”…

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Anche se

Anche se le strade sono avvolte da collane di brillanti
Nelle piazze mercatini, vin brulè e profumo di croccante
e la tazza che volevi, sul bancone di una pentola fumante.

Anche se di notte il luccichio di vetri e davanzali
fa tornare quella voglia di andare a camminare
dopo cena, a braccetto col berretto e il pattume da buttare.

Anche se la pioggia quando atterra sui fanali
fa tacere anche il cuore, a quell’ora in cui rientro
troppo tardi per uscire, troppo stanca per parlare.

Anche se la casa sa di sandalo e cannella,
sul divano la coperta con le stelle
e le gambe rannicchiate nel pigiama di flanella.

Anche se mi sento come un ramo da tagliare
Una macchia di caffè sulla pelle da lavare.

Anche se l’amore non esiste,
si è disposti solamente a rinunciare,
per un po’, ma alla fine è sempre uguale:
“quella volta non volevo e l’ho fatto per errore”
“sai che io non ero me stesso, era solo un favore”
“e detesto questo e quello, ma non lo potevo dire”

Rinfacciare, la parola cancellino dell’amore.

Il cursore ora lampeggia e non riesce a proseguire…
Tanti Auguri… Buon Natale.

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Compio gli anni

Resto qui perché è giusto
Compio gli anni e non esisto.
Luci spente e la fiamma dei ricordi che sfavilla
Tazza calda e camomilla.

La giustizia che non serve a sopportare.
Resto qui, chiudo tutto con le chiavi che ho perduto per uscire.

Deformato, incompiuto, sconveniente,
quell’amore che ha negato la sua voglia apertamente
Resto qui, candelina mia ardente.

Scusa tanto e forse è troppo,
non lo so quante colpe ha l’azione della mente.
Questo “giusto” che è perfetto senza niente.

Resto qui, occhi cechi in un fiume incandescente.
Tanti auguri… marzapane senza denti.

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