Al Vinitaly ci andai a 4 anni, con l’autobus perché il parcheggio è distante dall’ingresso e poi arrivano tutti da lontano, noi invece possiamo prendere l’autobus, siamo fortunati, diceva mio padre. Di queste parole mi restava un’immagine di famiglia indigena riconoscibile.
Comunque la giornata la passai per mano, sempre. Ho visto tanti banconi, scarpe, caviglie, calze.
Con il naso all’insù guardavo le facce rosse che ridevano, non c’era una parola che mi interessasse.
Ogni tanto mia madre mi allungava una distrazione, i tondini di carta avvolgi bicchiere con lo spacchetto erano i miei preferiti, li incastravo fra di loro come fossero di legno.
Con l’immaginazione costruivo una scala altissima che arrivava fino ai finestroni del padiglione, avevo ancora il biglietto dell’autobus in tasca… sarei scappata, sarei anche sparita.
Del Vinitaly mi è rimasto un ricordo negativo. Se qualcuno ora mi chiedesse di associare delle parole, probabilmente direi ammasso, mischia, chiasso, no.
Di Verona invece direi persistente, rubino, note.
Quella sera tornava proprio dal Vinitaly, aveva mani calde e parole rotonde spaccate al centro, con alcune di loro ho formato un puzzle incrollabile, con altre ho costruito una scala Mercalli.
foto